elementi di politica industriale [studio_1]: osservazioni critiche su studio del gruppo di discussione "crescita,
investimenti e territorio" costituito dagli economisti maurizio baravelli, marco bellandi, riccardo cappellin, enrico
ciciotti, enrico marelli/riporto di studio e commento

riproduzione del testo: “Crescita Investimenti e Territorio”
 
Maurizio Baravelli, Università La Sapienza
Marco Bellandi, Università di Firenze
Riccardo Cappellin, Università Tor Vergata
Enrico Ciciotti, Università Cattolica Piacenza
Enrico Marelli, Università di Brescia
 
nota introduttiva:
 
Questo lavoro è la sintesi del documento “La ripresa economica e la politica industriale e regionale” del Gruppo di Discussione: “Crescita, Investimenti e Territorio”, che si basa sui contributi elaborati da molti esperti italiani di economia industriale, economia regionale e macroeconomia, che hanno partecipato al Policy Workshop organizzato il 12 settembre 2014 al Congresso dell’AISRe alla Università di Padova e il 9 luglio 2014 all’Università Statale di Milano: Maurizio Baravelli, Marco Bellandi, Silvio Brondoni, Aurelio Bruzzo, Roberto Camagni, Riccardo Cappellin, Enrico Ciciotti, Margherita Corniani, Augusto Cusinato, Fiorenzo Ferlaino, Marco Frey, Letizia Giorgetti, Enrico Marelli, Marco Mutinelli, Guido Pellegrini, Luciano Pilotti, Mary Prezioso, Giuseppe Roma, Enzo Rullani, Lanfranco Senn, Francesco Silva, Alessandro Sterlacchini, Marco Vitale.
 
testo [sono sottolineate le parti commentate]:
 
Molti economisti sono convinti che la recessione e stagnazione sono il risultato di politiche o inefficaci o sbagliate e comunque da cambiare. L’ostinazione a proseguire queste politiche porterebbe a prolungare la lunga stagnazione attuale per diversi altri anni e ad aumentare ancor più le tensioni sociali. Di fatto, la recessione o stagnazione dell’economia italiana e di quella europea è determinata dal crollo della domanda interna e solo se si capisce il motivo di questo crollo possiamo sperare di disegnare delle politiche di intervento, che non siano inefficaci come quelle seguite negli ultimi sei anni.
Secondo molti noti economisti regionali e industriali che hanno partecipato alle attività del Gruppo di Discussione: “Crescita, Investimenti e Territorio” (Cappellin, Marelli, Rullani e Sterlacchini 2014), la crisi degli investimenti delle imprese e delle famiglie (soprattutto in abitazioni) è dovuta all’aspettativa di una sostanziale stagnazione della domanda e della produzione nei prossimi anni, che comprime le aspettative di profitti e dei redditi delle famiglie e quindi scoraggia gli investimenti privati. La diminuzione di questi ultimi retroagisce, determinando una diminuzione della domanda e quindi genera un processo cumulativo negativo tra i bassi investimenti e la bassa crescita della domanda aggregata. Questo effetto è rafforzato dall’effetto negativo determinato dai bassi tassi di inflazione o dalla deflazione che, oltre a rendere arduo l’abbassamento del rapporto debito/Pil, certamente disincentiva gli investimenti, mentre una moderata inflazione aumenterebbe l’incentivo delle imprese e anche delle famiglie a indebitarsi per investire.
Il documento del Gruppo di Discussione: “Crescita, Investimenti e Territorio” (Baravelli, Bellandi, Cappellin, Ciciotti e Marelli, 2014) definisce in modo chiaro il quadro teorico e le linee di intervento strategiche che legano tra loro le politiche regionali e industriali con le politiche monetarie e della finanza pubblica. In particolare, appare evidente l’inefficacia delle politiche fiscali o monetarie da sole, al fine di avviare una ripresa dell’economia italiana ed europea. Più efficace sembra essere una combinazione flessibile di politiche monetarie e fiscali espansive, congiuntamente a moderne politiche industriali e regionali dell’innovazione e degli investimenti: l’abbondante liquidità creata dalla BCE deve pervenire più facilmente alle imprese e all’economia reale e l’austerità e il rigore nei conti pubblici devono essere sostituiti o perlomeno integrati da politiche di sostegno della crescita e degli investimenti pubblici. In questa prospettiva, il Piano Juncker appare un primo cambiamento positivo verso un approccio diverso alle politiche economiche della Unione Europea.
Infatti, né gli acquisti di titoli pubblici da parte della Banca Centrale Europea né una maggiore flessibilità del deficit di bilancio sono sufficienti nel breve e adeguati nel medio periodo (Marelli e Signorelli 2014). Solo un rilancio degli investimenti delle imprese tramite una nuova politica industriale e regionale permette di uscire dalla recessione e di avviare una crescita sostenibile. La proposta di una nuova politica industriale e regionale assume una rilevanza particolare dopo la decisione della Banca Centrale Europea relativa all’acquisto di titoli di Stato e delle decisioni che verranno prese successivamente dai ministri delle finanze europei sul Piano Juncker di investimenti in Europa.
In una situazione di sostanziale “trappola della liquidità”, l’offerta di fondi finanziari privati e pubblici non può stimolare l’economia se non aumenta la domanda di credito da parte delle imprese, che dipende dalle aspettative sulla ripresa. Sulla domanda di credito possono agire le politiche industriali e regionali. In questa prospettiva, l’operatore pubblico dovrebbe essere il primo a muoversi e poi si spera che il settore privato segua. In particolare, i legami tra il Quantitative Easing della Banca Centrale Europea e la Banca Europea degli Investimenti (tramite l’acquisto dei suoi titoli, per ammontari molto limitati), da un lato, ed il ruolo della Bei nel piano Juncker, dall’altro, paiono troppo tenui, quando invece un maggior coordinamento potrebbe svolgere un ruolo cruciale nel promuovere i progetti di investimento privati e pubblici e rilanciare la domanda di credito.
E’ necessaria una politica industriale e regionale che promuova gli investimenti in impianti e costruzioni delle imprese private per lo sviluppo di nuove produzioni o filiere produttive innovative, nelle quali si prevede una domanda elevata da parte dei cittadini italiani e europei e che assicurino un ruolo nuovo dell’economia europea nella competizione a scala globale. Le politiche industriali e regionali, da un lato, rafforzano l’orientamento all’investimento e all’innovazione delle imprese e, dall’altro, rendono più efficace la spesa per investimenti, valorizzando l’interdipendenza tra gli stessi nelle diverse aree territoriali e quindi aumentando il loro tasso di rendimento finanziario. Infatti, non è possibile una crescita del PIL senza sviluppare nuove produzioni e promuovere una riconversione in settori più moderni rispetto alle specializzazioni attuali dell’economia italiana.
La politica industriale e regionale è indispensabile non tanto in una prospettiva di lungo termine, ma anche al fine di promuovere una ripresa della crescita nel breve e medio periodo (Cappellin 2014). Essa è complementare con una politica macroeconomica orientata alla crescita e deve mirare a creare nuove produzioni innovative e maggiore occupazione e stimolare gli investimenti delle imprese private. Essa deve promuovere l’innovazione di tipo sistemico nelle diverse filiere produttive e aree territoriali e ridurre il rischio dell’investimento per la singola impresa con la condivisione di un piano industriale integrato e comune con le altre imprese grandi e medie, il sindacato e le comunità locali. Essa deve sostenere con fondi pubblici lo sforzo di progettazione e di R&S delle università e dei centri di ricerca e non ultimo favorire l’interazione con il mondo della “finanza di progetto” e assicurare la complementarietà degli investimenti privati con gli indispensabili investimenti pubblici dei Comuni, delle Regioni e dello Stato.
La mancata ripresa della spesa in investimenti fissi delle imprese italiane ed europee è anche l’effetto della mancanza di un’efficace politica dell’innovazione, industriale e regionale, dato che l’ideazione e organizzazione di grandi progetti di innovazione richiede investimenti preliminari nella creazione e rafforzamento di reti aperte e flessibili di innovazione delle imprese e di altri attori chiave. Come indicato dal caso ben noto dei “distretti industriali” e dalla letteratura internazionale sui “sistemi nazionali e regionali d’innovazione”, l’interazione tra i diversi attori e la combinazione originale di conoscenze complementari non può avvenire spontaneamente e richiede una forma esplicita di coordinamento o di governance da parte delle istituzioni pubbliche e delle istituzioni intermedie.
In sintesi, il documento del Gruppo di Discussione “Crescita Investimenti e Territorio” definisce le condizioni e le modalità per individuare, promuovere ed attuare un massiccio piano di investimenti pubblici e privati, sia nazionali che regionali e locali, che siano il “motore trainante” del rilancio della crescita e dell’occupazione.
L’aumento del tasso di disoccupazione e la diminuzione degli investimenti nel III trimestre 2014 indicano la necessità di non perdere altro tempo e di affrontare innanzitutto gli ostacoli esterni e le resistenze interne, che impediscono alle imprese di attivare nuovi progetti di investimento, che indichino un punto di svolta del ciclo e facciano da traino ad altre iniziative di maggiori dimensioni in futuro e rilancino la crescita e l’occupazione, nella prospettiva di una politica di rinascita industriale dell’economia italiana.
Il rischio del ritardo accumulato negli ultimi sei anni dalle imprese italiane nello sforzo di innovazione è dimostrato dalla chiusura di moltissime imprese e dal successo di quello che hanno investito nell’innovazione: l’innovazione non è solo un fattore di successo ma ormai un fattore di sopravvivenza per le imprese sia grandi che piccole e medie. Solo progetti altamente innovativi e che quindi assicurino un rendimento finanziario positivo possono essere realizzati e finanziati dagli operatori privati. Pertanto, il prerequisito per promuovere gli investimenti privati è che il Governo e le Regioni sostengano con risorse pubbliche i costi della progettazione o della R&S, ad esempio lanciando a livello regionale e nazionale “bandi di idee” su grandi progetti strategici, riservati alle università e ai giovani ricercatori. La necessità di puntare a progettazioni qualificate, deve spingere la politica industriale e regionale a coinvolgere le migliori competenze esistenti sul territorio e innanzitutto quelle delle università e dei centri di ricerca.
Di fatto, l’orientamento alla qualità del servizio e alla soddisfazione della domanda dei cittadini che hanno bisogni sempre più evoluti, indica una nuova importante opportunità di crescita per le imprese. Questo permetterà di creare nuove filiere produttive, come articolazione di quelle tradizionali del made in Italy tipico (Bellandi e Caloffi 2014). Gli investimenti non devono essere iniziative ormai obsolete e scartate in precedenti programmi d’intervento ma devono avere un impatto moltiplicativo nel promuovere quelle trasformazioni della struttura produttiva nel medio-lungo periodo, che sono indispensabili per allineare il nostro Paese alle strutture economico-sociali più avanzate e moderne. E’ quindi possibile uscire dalla crisi con un grande piano d’investimento nazionale nell’innovazione e in progetti che mirino ad un miglioramento della qualità della vita.
Appare prioritario concentrare gli investimenti nelle aree urbane, sia per il loro essere il luogo ove
emergono per prima i nuovi bisogni e si concentra la domanda di nuovi beni e servizi, che anche per il fatto che i centri urbani sono i nodi di infrastrutture territoriali e svolgono una funzione strategica nel valorizzare la connettività delle nuove reti sia materiali che immateriali, di trasporto di beni e di persone o di informazioni e conoscenze (Ciciotti 2014). Le città rappresentano le piattaforme dei processi d’innovazione e internazionalizzazione per la loro dotazione di competenze molto qualificate e la capacità di mobilitare la collaborazione tra soggetti diversi e complementari.
Non sono sufficienti i fondi pubblici recuperati tagliando gli sprechi ed è necessario mobilitare il risparmio privato (Baravelli 2014) e attirare su progetti molto qualificati e assistiti da una garanzia pubblica i fondi della Banca Europea degli Investimenti e della Cassa Depositi e Prestiti, che possono ricorrere al mercato internazionale dei capitali e coinvolgere i grandi gruppi bancari e gli intermediari non bancari, le assicurazioni e i fondi pensione, i fondi di Private Equity specializzati nelle infrastrutture e anche Fondi Sovrani esteri. Anche i singoli cittadini possono essere interessati a partecipare al finanziamento dei progetti, soprattutto se essi hanno una chiara ricaduta sulle rispettive aree di residenza.
E’ necessaria una strategia nazionale multi-territoriale di governance di grandi e innovativi progetti integrati d’investimento. Il Governo nazionale e i Governi regionali devono assicurare le condizioni istituzionali, normative, fiscali e monetarie necessarie a sostenere un grande piano di investimenti privati e pubblici nei settori industriali innovativi e nelle reti moderne di servizi e infrastrutture. In particolare, le istituzioni pubbliche devono facilitare la creazione di reti di imprese sui diversi progetti strategici di investimento e definire solide strutture organizzative di governance di queste reti. Un ruolo chiave sia nella progettazione tecnica che anche nel coordinamento della loro realizzazione dei singoli progetti d’investimento e successivamente nella realizzazione delle nuove produzioni di servizi ad esse collegate devono avere le grandi imprese nei servizi collettivi (Public Utilities) che hanno un forte radicamento nelle aree urbane e nel territorio italiano.
Il Governo e le Regioni devono integrare gli investimenti privati con gli indispensabili investimenti pubblici nelle diverse aree regionali e urbane; infine si devono impegnare con le imprese interessate a rimuovere prioritariamente gli ostacoli amministrativi che rallentano la realizzazione dei progetti d’investimento concordati, creando delle task force dedicate.
Chiaramente, questo programma di investimenti è in linea con gli obiettivi del Piano della Commissione Juncker, che mira a mobilitare il potenziale imprenditoriale e creativo a livello territoriale e le risorse finanziarie private nei diversi Paesi europei. Merito di questa iniziativa è certamente quello di aver indicato un cambiamento di marcia e l’ambizione di creare dinamismo e aspettative positive. Nulla osta, tuttavia, che il Governo Italiano avvii fin da subito un piano strategico di investimenti, basato sullo stesso approccio, e chieda alle imprese e alle istituzioni finanziarie italiane, a cominciare dalla Cassa Depositi e Prestiti, e ai sindacati e al mondo universitario di partecipare al disegno e alla realizzazione dello stesso, con l’effetto di liberare energie attualmente inespresse e di ridurre il clima depressivo attuale.
La ripresa degli investimenti privati e pubblici è quindi legata a un rilancio della politica industriale e regionale, a una strategia di crescita basata sull’innovazione delle imprese e delle istituzioni e ad un’efficace governance delle relazioni tra imprese, università, credito e amministrazioni pubbliche regionali, nazionali e europee.
 
commento:
 
1.] una tesi di fondo era stata intuita autonomamente: nel programma politico avanzato [e sponsorizzato], si è parlato delle “città”, intese come province, non da abolire, ma da costituire come il fulcro dell’intero sistema-Paese [“città-stato”, “città-fortezze”: bari, napoli, alessandria, novara … nelle sue città, eredi dei comuni, sta la forza e la bellezza dell’italia/anche questo piano di “abolizione delle province” – su cui de rita non è d’accordo – potrebbe essere interpretato dietrologicamente come un modo – dettato dall’estero - per far fallire il sistema-italia …: perché abolire le province, visto che l’italia è fatta di province ?].
2.] bene quindi il riferimento alle regioni [alle loro politiche industriali] come sistema di propulsione del paese.
3.] prodi aveva avanzato la necessità di una nuova politica industriale per il paese, sottolineandone [in tempi di liberismo] l’attualità del concetto.
4.] circa i distretti industriali, va capito che è ben difficile parlare di coordinamento, perché all’interno di essi, se omogenei, c’è competizione, e quindi possono esserci fenomeni di conflittualità. si è parlato [anche qui a pordenone] di un nuovo ruolo per le camere di commercio [CCIAA]: questo può consistere in una programmazione di una “politica industriale” locale [anche per i “bandi di idee” di cui si parla nello studio].
5.] ma il senso dello studio è quello di parlare di politica industriale per un paese considerato unitario, in competizione con gli altri sistemi-paesi: è realistico che il sistema produttivo di una nazione si coordini, in modo unitario, e si lasci coordinare, senza conflittualità ? non è forse vero che la diplomazia può essere quasi l’arte del tradimento, nel senso che i paesi esteri bloccano, impediscono a un governo, debole come quello italiano, di attuare questa politica industriale, per un rilancio che equivarrebbe a fare la guerra ai concorrenti esteri ? [che sono gli USA e la cina …]. se tutto il paese è in mano a un uomo solo, e se quest'uomo è ricattato, che fine fa questo paese ?
6.] circa gli investimenti, manca il coraggio, nelle imprese, perché l’investimento è un rischio, e questo rischio è aumentato a causa della concorrenza "sporca" di nazioni, estere, che competono con prezzi bassi per lo sfruttamento della manodopera: ha senso investire per competere contro il gigante cinese ?
7.] per questo lo studio propone una politica pubblica che incoraggi gli investimenti privati, abbassandone il rischio, nel senso di un suo accollo pubblico: ma ciò potrebbe essere interpretato o come aiuto pubblico irregolare, e comunque come una politica nazionale aggressiva, e quindi antidiplomatica, in una nazione, debole come l’italia, in cui diplomazia spesso equivale a “resa” [per non fare la fine di zanussi – dal lato dell’industria -, e di moro – dal lato della politica].
8.] nello studio si dice: “nulla osta”. invece qualcosa “osta”: la resa di una politica [“cattolica” …] che non può competere con chi può anche “giocare sporco” [senza troppi scrupoli, anche al di là delle regole e della legalità].
9.] gli studi sui distretti e sui sistemi-paese devono costruire una matrice che inquadri dinamiche di cooperazione verso l’esterno, e di conflitto verso l’interno [circa il conflitto interno a un distretto, e a un sistema-paese].
10.] su quest’ultimo punto, si può dire che i sindacati hanno un doppio ruolo: proteggono dai soprusi, ma anche bloccano il sistema.