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HEIDEGGER 

Heidegger (nato nel 1889 a Messkirch, nel Baden, nella Germania sud-occidentale, e quivi morto nel 1976) costituisce il primo grande esponente dell’“esistenzialismo”.
L’esistenzialismo è la corrente di pensiero, viva tra le due guerre mondiali e soprattutto nel secondo dopoguerra, che studia la vita dell’uomo nel suo rapporto con l’essere, inteso questo come gli altri uomini, il mondo e Dio. La vita si caratterizza come finitudine e possibilità di scelta, dalla quale dipende la salvezza dell’uomo, intesa come “autenticità”.
Tornando a riflettere sulla metafisica tradizionale, Heidegger rivaluta i classici della filosofia greca, dimostrando che i problemi suscitati da tale riflessione non appartengono al passato, ma sono questioni sempre valide, cioè “eterne”. Heidegger prepara così il pensiero di Severino, per il quale la filosofia greca è la “chiave” per la comprensione del nostro tempo, ponendo in relazione il divenire e la tecnica, intesa questa come estrema forma della volontà di potenza.
Nella filosofia di Heidegger si possono distinguere due momenti. Nel primo egli cade nello stesso errore che poi imputerà ai filosofi che lo hanno preceduto. Egli interroga l’uomo, che è l’Esserci, allo scopo di conoscere il senso dell’essere. Questo appare legato alla Cura, che è la possibilità progettuale intrinseca alla natura umana, la cui finitudine si manifesta come nullità. L’esistenza autentica è quindi l’essere-per-la-morte, estrema condizione della vita, che consente la liberazione dalle illusioni dell’ esistenza inautentica. Nel secondo periodo della sua riflessione, Heidegger afferma che è l’essere a rivelarsi all’uomo, il quale non lo deve cercare o interrogare, ma limitarsi a condurlo verso il suo disvelamento. L’errore della metafisica classica è stato quello di aver interpretato la ricerca filosofica come possesso (cioè dominio) della verità. Allo stesso modo oggi la tecnica, espressione contemporanea del nichilismo metafisico greco, cerca di possedere le cose e il mondo. La sua estrema volontà di manipolazione corrisponde alla volontà di giudizio e di dominio, propria del concetto platonico e tradizionale di verità.
Se l’essere si disvela nelle diverse epoche della storia, esso si manifesta soprattutto nel linguaggio della poesia. L’uomo deve porsi in ascolto di questo linguaggio. Egli non deve voler padroneggiare l’ente, ma deve essere il “pastore dell’essere”, colui che fa la guardia alla verità (e all’autorivelazione) dell’essere stesso.
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