Il senso dell'episteme (p23)

Il senso dell'episteme è il senso dell'esistenza, cioè la ragione per cui Dio ha creato l'uomo, il rapporto tra l'uomo e la sua verità (dell'uomo) e di Dio, il senso dell'esistenza di Dio (qui "esistenza" è intesa come come "condizione della vita", non come "sostanza").
Questo senso viene descritto nell'episteme perchè non è un tema epistematico, ma costituisce un nucleo veritativo (forse il più basilare).
La questione del senso dell'esistenza, da cui dipende il senso della verità, che lo cerca, è sottoposta in questa sede alle seguenti condizioni:

- forse non è accessibile all'uomo sulla terra (ad esempio: se un uomo sarà dannato, può mai essere esistito un senso dell'esistenza per lui ? quindi, poichè nessun uomo sa con certezza se andrà in paradiso, essendo Dio libero - ma probabilisticamente condizionabile, cioè che dà tranquillità di vita all'uomo di buona volontà, cioè a colui che pratica le opere di salvezza -, non ha senso che l'uomo possa attingere nell'al-di-qua ad una verità che per lui, se dannato, potrebbe mai essere stata esistita: condizione-di non-conoscibilità del senso dell'esistenza);
- alcuni sensi dell'esistenza, inferiori al senso principale, sono pensabili e sono stati pensati (associati, ad esempio, all'eudemonismo e all'edonismo divini);
- è posto il problema se il senso sia incluso nella felicità o la determini dall'esterno (perchè la felicità è concetto multi-dimensionale e inclusivo, ma il senso è concetto gerarchicamente primario);
- la possibilità di un'impossibilità di accedere al senso sulla terra non è causa di nichilismo, nausea vitale e alienazione: all'uomo basta sapere che il senso, per lui, esiste, per poter vivere (continuità tra terra e paradiso);
- se il dannato non ha il senso (e, per la pre-destinazione, non lo ha mai avuto), è posto il problema se esista un senso "generale", cioè valido per tutti gli uomini (infatti, senz'altro il senso per Dio esiste, e dovrebbe essere la matrice per quello umano, sempre che il senso per l'uomo non sia un senso specificamente-per-l'uomo);
- il senso dell'episteme dipende quindi dal senso dell'esistenza, ma la ricerca dell' episteme è legittima e doverosa, in quanto, pur non potendo forse accedere al senso, esso determina le condizioni per cui si possa dire "dimostrato" che il senso esiste, così come l'episteme dimostra che Dio esiste;
- attenzione: senza l'episteme, le dimostrazoni sono incomplete e inefficaci al loro scopo;
- si può osservare anche un basilare significato etico dell'episteme: la molteplicità di tesi formulate per "riempire" la realtà necessaria (mondo-in-creato) ha la funzione di riempire il "nulla" prospettato dal pensiero della morte (che, se produce angoscia, è determinato da attivazioni nichilistiche dell'apparato mentale: infernalizzazione e schizofrenia). Tale "riempimento" colma il senso del nulla e del vuoto, garantendo che la morte non possa più costituire un "salto nel nulla" (essendosi progressivamente "disattivato" lo schema del nulla, che va riservato al Caos, da cui Dio ha tratto ex-nihilo il Creato). Ciò significa che l'episteme "dimostra" la morte come un passaggio verso l'essere.