proposizioni sulla fede e sul rapporto tra fede e ragione/il senso dell'episteme in rapporto alla fede
 
i preamboli della fede sono "quelle verità che possono essere raggiunte dalla ragione [come in s. tommaso, l'esistenza di dio e l'origine divina della rivelazione], prima che con un atto di fede si accettino le verità rivelate" [lessico universale italiano dell'enciclopedia treccani, voce "preamboli della fede"]. sono quindi verità di ragione "dimostrate", come l’esistenza di dio, che sono presupposte dall’accoglienza della fede: posso credere in dio e nella chiesa solo se so che dio esiste. questa concezione dei preamboli della fede non rispecchia la condizione di fede della maggior parte dei credenti. l’esistenza di dio non è assunta dal credente come verità di ragione, ma è posta all’interno della fede: la fede è anche la credenza, non dimostrata, ma ritenuta vera, dell’esistenza di dio. si può dire che nessun credente, iniziato alla fede dal catechismo, crede "per ragione", ed anche se i credenti si comportano come se dio esistesse pur non sapendo con certezza che dio esiste, la loro fede non è vana e il loro comportamento non è insensato. dice sempre la chiesa che "il cristianesimo non è un sistema/una teoria, ma è un incontro con la persona dell'uomo gesù". questo incontro è l'incontro con la fede dei propri genitori, ed anche l'incontro con la fede della chiesa, il clero, che fa incontrare gesù negli atti liturgici, per cui il credente scopre che solo la chiesa ha realmente "parole di vita eterna" [gv 6, 68].
la ragione_epistemica deve riuscire a condurre l’uomo alla fede, collegandosi ad una ragione rigorosa, ma che sia una ragione "di fede", non “di ragione”. anche perché non è ammissibile che la fede si regga interamente sulla ragione, come se il comportamento di miliardi di credenti [di tutte le religioni] fosse ancora insensato [e inconscio] solo perché il contentuo della fede non è scientificamente interamente dimostrato.
la fede è e deve essere autosufficiente [rispetto alla ragione], anche perchè l'uomo, immagine del verbo, è costitutivamente la ragione, e quindi l'uomo di fede è la ragione "ipostatica", che accoglie la fede, riconoscendola [sperimentandola] come vera. l'uomo deve essere libero, e quindi non deve sapere che dio esiste, deve poter solo crederlo. la fede è una esperienza [san paolo "ha visto", poichè gesù gli ha parlato, eppure egli dice di avere "fede" e non "ragione": san paolo non "sa" cristo, ma ha ancora "fede" in cristo]. la fede è sentimento di fede e certezza sentita che dio è presente ed esiste:

1.] è presente, perchè l'uomo ha la capacità di attivare dentro di sè il sistema schematico di innesto di dio, e quindi sa intuire l'esistenza e la presenza di un essere "Altro" da sè, di cui si riesce a percepire la presenza, sia pure in forma auto_proiettiva;
2.] esiste, perchè non si può vivere autenticamente senza dio: l'ipotesi di dio è l'unica che, globalmente intesa [come concezione non contraddittoria dell'Intero] consente all'uomo di vivere in pienezza di senso. vale qui il discorso della "scommessa" di pascal: scommettere su dio è l'azione più ripagante.

accade però che nella mente si annulli lo schema/idea/presenza di dio. la mente si rappresenta anche l'inesistenza di dio. la realtà si fa "piatta", tutto si annulla e si azzera, e il credente si sente anche soffocato dall'idea di questo annullamento di dio nella sua mente [schema auto_proiettivo disattivato].
ecco dunque che l'episteme, inteso come sistema speculativo del cristianesimo, può servire alla fede in due modi:

1.] aiutarla ad essere autosufficiente, riattivando gli schemi mentali di dio [teologici] tramite un'attività speculativa persuasiva [razionalmente: convincimento] ed anche dimostrativa;
2.] confutare gli argomenti contrari a dio, cioè le [pseudo_]ragioni che cercano di indurre la disattivazione degli schemi mentali relativi a dio [i quali si disattivano anche senza ragioni ateistiche speculative: l'ateismo agisce anche come una pulsione fisiologica, come una forza psichica che annulla dio nella mente].

ma il discorso relativo ai preamboli della fede, posto che l'esistenza di dio forse non si può e non si deve [razionalmente] dimostrare, ed essa cade dentro la fede [cioè l'esistenza di dio non è premessa della fede, ma è oggetto di fede], non può essere abbandonato ma deve essere valorizzato e riformulato. l'episteme ha anche intuito che questo discorso è più facile di quello relativo ad altri argomenti speculativi, come ad esempio il problema del rapporto tra prescienza, predestinazione e libero arbitrio, di dio e dell'uomo. capire perchè l'uomo non deve sapere che dio esiste secondo ragione, e deve solo poter credere in dio, sarebbe forse argomento sufficiente per dimostrare l'esistenza di dio, e sarebbe forse argomento anche facile da capire, eppure la mente non riesce a razionalizzarlo [dice messori che l'uomo deve poter dubitare per essere libero, ma alcuni uomini (ad esempio i tre pastorelli di fatima) hanno "visto",  quindi la questione non è solo legata al libero arbitrio, cioè all'etica].
si ritiene che compito dell'episteme sia quello di aiutare e supportare la fede perchè la fede riesca ad essere autosufficiente. l'episteme è una specie di introduzione al catechismo. i preamboli della fede possono essere riformulati, in questa ottica, essendo intesi come l'episteme finalizzato a consentire l'accoglimento del catechismo [= fede] da parte del credente: l'episteme [= ragione] si costituisce in questo modo come strumentale alla fede e al costituirsi della sua necessaria e libera autosufficienza [rispetto all'episteme stesso]. i preamboli della fede non sono [non devono essere] la dimostrazione razionale delle verità di fede, ma sono la loro spiegazione razionale, come amplificazione della ragione finalizzata alla sua purificazione in vista dell'accoglimento della fede. le dimostrazioni_epistemiche non sono autentiche "dimostrazioni", perchè di fatto non sono riuscite a dimostrare l'esistenza di dio: esse sono proposizioni finalizzate a far comprendere alla ragione umana la razionalità intrinseca del discorso su dio, e quindi mostrano la predisposizione naturale della ragione alla comprensione della fede.
.venire, a mio giud
scrive il card. ruini: "Un contributo tuttora assai rilevante all’adempimento dei compiti che la teologia ha oggi davanti a sé può venire ... dall’eredità della teologia neotomista, nonostante i suoi limiti, che possono individuarsi ... nel tentativo di dimostrare la verità delle premesse del cristianesimo (i praeambula fidei) mediante una ragione rigorosamente indipendente dalla fede stessa. Questo tentativo è sostanzialmente fallito ... per il motivo che le grandi questioni dell’uomo e di Dio (ed ugualmente la questione di Gesù Cristo), riguardando e coinvolgendo inevitabilmente il senso e la direzione della nostra vita, mettono in gioco noi stessi e quindi, pur richiedendo tutto il rigore e le capacità critiche della nostra intelligenza, non possono esser decise indipendentemente dalle scelte secondo le quali orientiamo la nostra stessa esistenza". l'episteme quindi non accoglie una concezione dei preamboli della fede come dimostrazione razionale e quasi "costrittiva" delle verità di fede, ma come evidenziazione della loro ragionevolezza. scrive inoltre il card. ruini: “[Una teologia cristocentrica e pertanto davvero teologica e antropologica] Al centro e al cuore di un approccio teologico meglio adeguato agli interrogativi del tempo che sta davanti a noi rimane, a mio parere, quella forma di teologia radicalmente cristologica e cristocentrica, e proprio perciò altrettanto radicalmente teologica e antropologica, che è implicitamente proposta nel n. 22 della Gaudium et spes: “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo… proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore per noi [Cristo] svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”.  Perciò l’attenzione del teologo deve concentrarsi anzitutto su Gesù Cristo, cogliendo insieme la sua realtà storica e la profondità del suo mistero". questo è il modo in cui l'episteme può introdurre alla fede efficacemente, attraverso il concetto secondo cui cristo è il prototipo dell'uomo prima dell'incarnazione [cristo è uomo di carne prima della creazione: gv 17,5] e costituisce il paradigma del comportamento etico e religioso dell'uomo in seguito e a partire dall'incarnazione storica. in questo modo il cristo_centrismo è autentico antropo_centrismo [relativo all'uomo gesù], e antropo_centrismo significa mettere al centro dell'esistenza e dell'interesse umano sia cristo sia ogni uomo. prosegue il card. ruini: "Con il suo libro Gesù di Nazaret Benedetto XVI ci ha indicato una via e un metodo di lavoro che possono rivelarsi molto fecondi per lo sviluppo della teologia, specialmente su quella frontiera ineludibile che è rappresentata dalla saldatura tra le esigenze della critica storica e quelle di un’ermeneutica autenticamente teologica". da questo punto di vista, l'esegesi_epistemica costituisce il mezzo per interpretare la bibbia alla luce della filosofia e la filosofia alla luce della bibbia, tenuto conto che per l'episteme la filosofia è cristo [verbo = sapienza], mentre la storia della filosofia è scritta dallo spirito_santo, per cui il rapporto tra bibbia, da un lato, e filosofia, teologia e scienza dall'altro è senz'altro di tipo corrispondente, perchè sia la bibbia che la filosofia sono state scritte [nell'ottica di fede e nell'ottica epistemica] dal medesimo soggetto_divino, lo spirito_santo. dice il card. ruini: "Nella luce della realtà e del mistero di Gesù Cristo si possono affrontare i due poli essenziali del discorso teologico, Dio e l’uomo, che sono poi, in maniera esplicita o implicita, i veri nodi della cultura del nostro tempo. Rispetto ad entrambi questi nodi l’attuale contesto culturale – nel quale le scienze empiriche, con la loro forma di razionalità e con la mentalità che esse generano, esercitano un ruolo trainante e per certi versi egemone – impegna la teologia ad un confronto con tali scienze ben più approfondito di quel che sia stato realizzato fino adesso: confronto per altro che non può fare a meno di un’autentica e non riduttiva dimensione filosofica. Perciò, riguardo a Dio, assume particolare importanza quella riflessione che si concentra sulla struttura e sui presupposti della conoscenza scientifica, per mostrare che proprio a partire da essi si pone di nuovo la domanda sull’intelligenza creatrice". è questo il concetto epistemico secondo cui il presupposto kantiano della conoscenza scientifica [l'apparato categoriale mentale] è il verbo, che costituisce la mente del padre. "Analogamente - prosegue il card. ruini - riguardo all’uomo è decisivo il confronto sia con la teoria dell’evoluzione sia con le neuroscienze, per mostrare, anzitutto alla luce delle sue capacità proprie ed esclusive di produrre cultura, che l’uomo emerge dalla natura non nel senso di una semplice provenienza ma di un autentico trascendimento". se, infatti, il cosmo è conosciuto soggettivamente, in senso kantiano, esso è strutturato per il soggetto, che costituisce quindi il fine dell'intero universo. è questo l'argomento di fondo della dimostrazione dim_147 [...] e della sua schematizzazione [mc100.html_[...]]. su tali considerazioni si fonda anche la dimostrazione ruiniana dim_16 [...]. "Solo - dice il card. ruini - su questa base antropologica diventa possibile e coerente quella promozione e difesa della dignità umana a cui la teologia è chiamata, oggi particolarmente sul piano dell’etica pubblica. E’ questo il senso di quel programma di “allargare gli spazi della razionalità” che Benedetto XVI propone con insistenza e che riguarda sia la ragione scientifica sia la ragione storica. Questo programma implica il duplice convincimento che la rivelazione di Dio in Gesù Cristo offre alla ragione un aiuto prezioso per proseguire il suo cammino, sempre più articolato, complesso e specialistico, senza perdere di vista il suo orizzonte globale e gli interrogativi di fondo, e d’altra parte che proprio attraverso il confronto con la ragione contemporanea la fede e la teologia sono stimolate ad approfondire ulteriormente quella novità riguardo al mistero di Dio e dell’uomo che ci è venuta incontro in Gesù Cristo … La rivelazione [scrive il card. ruini, riportando il pensiero di ratzinger] è cioè anzitutto l’atto con cui Dio manifesta se stesso, non il risultato oggettivato (scritto) di questo atto. Per conseguenza, del concetto stesso di rivelazione fa parte il soggetto che la riceve e la comprende – in concreto il popolo di Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento –, dato che se nessuno percepisse la rivelazione nulla sarebbe stato svelato, nessuna rivelazione sarebbe avvenuta. Perciò la rivelazione precede la Scrittura e si riflette in essa, ma non è semplicemente identica ad essa, e la Scrittura stessa è legata al soggetto che accoglie e comprende sia la rivelazione sia la Scrittura, ossia alla Chiesa. Concretamente la Scrittura nasce e vive all’interno di questo soggetto. Con ciò è dato il significato essenziale della tradizione ed anche il motivo profondo del carattere ecclesiale della fede e della teologia, oltre che il fondamento della validità di un approccio alla Scrittura che sia al contempo storico e teologico. E’ dunque con buona coscienza e consapevolezza critica che possiamo accogliere, come teologi, quell’intima relazione della Scrittura e della tradizione con tutta la Chiesa e con il suo magistero di cui ci parla il n. 10 della Dei Verbum”. il n.10 della Dei Verbum afferma: "[Relazioni della Tradizione e della Scrittura con tutta la chiesa e con il magistero] La sacra tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa; nell'adesione ad esso tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori, persevera assiduamente nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle orazioni (cfr. At 2,42 gr.), in modo che, nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa, si stabilisca tra pastori e fedeli una singolare unità di spirito. L'ufficio poi d'interpretare autenticamente la parola di Dio, scritta o trasmessa, è affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. Il quale magistero però non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio. È chiaro dunque che la sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre, e tutte insieme, ciascuna a modo proprio, sotto l'azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime". la fede è rivelazione di dio all'uomo: è dio che pone nell'uomo il sentimento della propria esistenza, e questo sentimento è "naturale", nel senso che ogni uomo è per natura costitutivamente credente, e credente in senso cristiano. l'episteme ha come scopo quello di purificare e amplificare la ragione umana, in modo che possa emergere nell'uomo questa sua predisposizione razionale e naturale all'accoglimento della fede. la natura dell'uomo viene in questo modo ad essere purificata, ovvero anche difesa dalle suggestioni dell'errore, e può così accogliere la fede e trovare in essa la propria "stabilità".