precisazione sul significato di "episteme" accolto nel presente sito

la ricerca-epistemica osserva che il principio classico di non contraddizione e, in generale, l'impostazione della filosofia neo-scolastica tendono a definire "negativamente" il sapere certo (epistemico), ovvero come contrasto tra tesi e anti-tesi (la tesi viene definita pensiero incontroveribile, l'anti-tesi come pensiero auto-contraddittorio).
non si dubita della valenza euristica della "confutazione", ma si ritiene che la prima definizione del sapere, del suo porsi e della sua costruzione, sia di tipo "positivo" (e quindi meno "sterile" e meno "conflittuale"): lo scopo primo della filosofia non è quello di rapportarsi all'anti-filosofia, ma è quello di produrre pensieri "veri", i quali, se pensati dall'intuizione-epistemica (ovvero se accendono la "scintilla della convinzione") sono tali indipendentemente da:

- contrasto;
- verificazione;
- dimostrazione.

Quindi nel presente sito il termine "episteme" non viene definito innanzitutto negativamente, come contrasto all'anti-episteme (cioè come posizione sovrastante i pensieri contrari),
ma "positivamente", ovvero precisamente come:

DEF [episteme]
posizione (steme) dell'Episteme (= Logos = seconda-Personale-trinitaria, ... organon/processore-organico- -conoscitivo divino) sovrastante (epi) l'Intero dell'essere (escluso il noumeno): il Logos è cioè "la rete estesa come il mare" (cioè sovrapposta ad esso: epi-steme).

si rileva qui un paradosso:

- chi possiede l’intuizione-pura-epistemica (ogni uomo e ogni donna la possiede, perché essa è la condizione-base del pensiero, chi non la esprime è un soggetto la cui confusione schematica e emotiva “copre” la natura pura del pensiero) “sa” di sapere, e quindi per lui non c’è bisogono di dimostrare ciò che è evidente (che Dio esista è evidente, perché tutte le favole espongono la verità: principio di invarianza, seconda dimostrazione);
- chi non la possiede, è soggetto a conflitti e confusioni schematiche e emotive (ad esempio: conflittualità coi genitori proiettata su Dio, e quindi rifiuto di Dio – del “dio dei divieti”, tipicamente “cristiano” – come rifiuto dei genitori), ma dice la sacra-scrittura (o “Sacra Scrittura”): “neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi” (Lc 16, 31). cioè: anche se Dio apparisse, l’ateo potrebbe sempre dire (e a ragione) che questo Dio apparente potrebbe essere in realtà “un ologramma creato dagli extra-terrestri”. lo stesso Dio che appare in paradiso-Paradiso potrebbe essere un’immagine “falsa” creata ad arte da scienziati “di ordine superiore” (chi può escludere che il cosmo-apparente non sia l’esperimento in miniatura contenuto all’interno del microscopio di un laboratorio, e questo a sua volta incluso nel microscopio di un laboratorio maggiore, e così via all’infinito ?): nessuna “prova” può convincere chi, per motivi biografici (ma anche speculativi) “non vuole” (perché inconsciamente “non può”) essere convinto.

il paradosso è questo:

- chi possiede l’intuizione epistemica, “vede” e non serve che la dimostri;
- chi non la possiede, non la possiede per motivi biografici, per i quali neppure la dimostrazione (che altro non è se non un’intuzione
epistemica di “maggior dettaglio”) lo convincerebbe.

a cosa serve quindi dimostrare e verificare ? ciò è utile se si tengono presenti queste due possibilità:

- nessun uomo possiede realmente un’intuizione pura, ogni uomo deve convincersi su triplici basi di ordine razionale (l’esistenza dell’esistenza e del suo sviluppo), empirico (l’apparire dell’ente) e sperimetale (l’apparire dello sviluppo degli enti);
- esistono, e sono in gran numero, persone che non possiedono l’intuizione epistemica, ma che possono accedervi su basi dimostrative, perché “aperti” alla possibilità di mutamento schematico. quindi, il progetto-episteme (che intende espandere a livello coscenzioso l’intuzione-base-epistemica, può essere (all’interno di tali ipotesi) rilevante.

precisazione su quanto detto all'inizio
si deve tuttavia riconoscere (ricordando) che la ricerca-epistemica nasce e si sviluppa come incessante attività di "confutazione", "arresasi" inizialmente solo di fronte alla filosofia del prof. Emanuele Severino. 
Quest'ultima la si è poi potuta affrontare solo quando la suddetta ricerca è giunta a un pensiero (se possibile) indipendente da quello di Severino. Metaforicamente (non rigorosamente) si può, qui, dire che:

- i termini "divenire" e "nulla" sono auto-concetti e positività-auto-concettuali: la loro verità intrinseca è quella di riferirsi a strutture fondanti dell'essere e non già opposte ad esso, intendendosi per positività il fatto che tali concetti non devono essere solo caricati di "negatività-vitale" (ad esempio: "mi sta antipatico il concetto di nulla, perchè mi ricorda la paura della morte"), trattandosi innanzitutto di "strutture" ipostatiche della necessità;
- Severino, negando il nulla e il divenire, finisce con il dimenticare che, ad esempio, l'atomo non è fatto solo di particelle (l'essere), ma anche di forze, onde, orbite, vuoto, ecc. (gli altri elementi dell'essere, come appunto il divenire e il nulla, metaforicamente);
- il divenire e il nulla sono strutture proto-ontiche, che devono essere de-nichilizzate, cioè sottratte alla loro investitura di significato "negativo";
- per Severino il divenire equivale al "caos" dell'esistenza, ma per Hegel invece esso è la "vitalità" dell'esistenza. Il nulla viene percepito come negativo annientamento, mentre invece potrebbe essere la positiva e "strutturale" (nel senso di componente della struttura originaria dell'essere) "interfaccia" dell' essere (il suo lato "oscuro", ma non per questo "malvagio" o "tenebroso");
- definendo il divenire e il nulla auto-concetti e positività-auto-concettuali si è inteso dire che la verità intrinseca suggerita da tali concetti (il fatto di costituire strutture interne all'essere) consente di poter dire che Severino annulla le loro essenze (cioè Severino "non vede" la cavallinità del nulla e del divenire, vede solo il concetto che lui ha di tali termini, non la loro definizione oggettiva ed essenzialistica, che ne rivelerebbe appunto la natura di enti "positivi" e esistenzialmente possibili/non-contraddittori, data la riforma-del principio-di-non-contraddizione).