proposizioni sul senso delle dimostrazioni epistemiche/l’impostazione dell’episteme
 
questo paragrafo rimanda ed è associato alla dimostrazione dim_160_[], che qui si presuppone.
 
prima parte del paragrafo
 
1.] il senso delle dimostrazioni epistemiche illustra anche il modo in cui l’episteme imposta la conoscenza della realtà.
2.] uno dei problemi fondamentali dell’impostazione dell’episteme è che si pone il principio di dio fuori di dio. perché lo si è fatto ? perché, se si definisce dio come l’essere che ha in se stesso la ragione della propria esistenza, non solo di fatto si rinuncia a spiegare perché dio esiste [presupponendolo esistente], rimandando questo perché proprio al rapporto tra dio ed una realtà in qualche modo aggiuntiva a dio e alla sua necessità, che lo includa e lo spieghi, ma si deve dire che nell’ipotesi classica solo dio è un siffatto essere [che ha in se stesso la propria ragione di essere], per cui tutto ciò che esiste risulta essere creato, e così tutto ciò che esiste diventa una invenzione di dio e dell’uomo, che può essere trasfigurata in paradiso, ma in questo modo non si può spiegare la necessità del perché, oltre l’uomo, esistendo solo dio prima del mondo, dio debba creare anche il mondo. si finisce per idolatrare il mondo come creatura di dio, oltre all’uomo. poiché dio ha creato fantasiosamente, senza un perché, il mondo, oltre all’uomo, il mondo è sempre buono in ogni suo aspetto, anche peccaminoso.
3.] l’episteme, introducendo la distinzione tra principio e dio, oltre a spiegare e così dimostrare razionalmente l’esistenza di dio, cioè la ragione del perché dio esiste, consente anche di spiegare e valorizzare tutte le filosofie della storia, sia quelle che contemplano l’esistenza di altri eterni oltre a dio [come il platonismo e il plotinismo][l’episteme preferisce in modo giustificato parlare di plotinismo e non di neo_platonismo, perché l’episteme stesso è la  forma corretta e appropriata del neo_platonismo, un “neo_platonismo cattolico”], sia quelle che pongono alcune realtà come originate non da dio, realtà che, come originate non da dio, venivano per questo poste in opposizione a dio.
4.] la distinzione tra dio e il principio pone un unico problema: si pensa che far derivare dio da una realtà altra da dio, da un lato depotenzi dio, dall’altro più che potenzi questa realtà, fino a porla maggiore di dio, perché ciò che origina [si ritiene] è maggiore di ciò che è originato. non così è nell’evoluzione, in cui il prima è semplice e il dopo, essendo il complesso, è di maggior pregio, ma in qualche modo il dopo deve la sua complessità al processo, che così risulta il vero “protagonista”: come dire che se l’evoluzione origina l’uomo, ed essa è parte della natura, la natura sovrasta l’uomo ed è all’uomo superiore. così, allo stesso modo, se un principio pone dio, il principio dovrebbe essere superiore a dio. tutto ciò non riflette il modo in cui l’episteme concepisce il principio e il suo rapporto con dio. nell’episteme il principio è il principio, non qualcos’altro: esso è definito principio perché determina ogni realtà necessaria, e tra queste dio, inteso come la realtà che è veramente dio, e l’unico dio, cioè per definizione la realtà massima [l’Essere]. l’episteme appunto non definisce dio il principio, ma definisce dio dio, dio è inteso come ciò che è derivato dal principio, ma ciò che è derivato dal principio è dio, e in quanto è dio è la realtà massima, superiore in pregio al principio, che pure la costruisce. non è possibile alcun fraintendimento [idolatrico], anche perché è poi questo dio che crea l’uomo [non il principio],  per cui è da questo dio che deriva il sacrificio della creazione [è dio che crea e soffre creando] e la salvezza dell’uomo, sia nel senso che dio salva soffrendo, sia nel senso che l’uomo si salva obbedendo a dio [e non al principio].
5.] la derivazione di dio dal principio è per accrescimento: dio è la somma dello sviluppo, cioè l’Ente supremo. il principio determina dio, ma lo determina non in virtù di una capacità emanativa dall’alto [nell’episteme il principio non è l’Uno, anch’esso determinato dal principio, che è la semplice esistenza], ma per via di una determinazione che deve essere intesa come un “teorema logico_matematico” che, in quanto tale [fatto di leggi scientifiche/metafisiche e di numeri] non si può intendere in senso idolatrico.
 
seconda parte del paragrafo
 
1.] l’impostazione del sapere nell’episteme è la seguente:
 
a.] si prescinde dal creato [epochè del creato]: tutto ciò che appare all’uomo, ovvero gli infiniti cosmi teorizzati dall’astronomia, non vengono [inizialmente] considerati.
b.] questo si può fare semplicemente perché essi non sono normali;
c.] quindi si studia la realtà normale, e questa è la realtà_necessaria;
d.] si identifica in essa un oggetto_necessario e un soggetto_necessario [senza definirlo “dio”];
e.] poiché la ragione umana opera per schemi evolutivi, si trasferiscono questi schemi nella realtà_necessaria, e quindi si identificano in essa degli strati [stratificazione della realtà_necessaria] di ordine emanativo e evolutivo;
f.] questo soggetto viene poi definito dio per tre ragioni:
 
a.] sia perché ha i caratteri di ciò che comunemente viene detto dio [essendo soggetto eterno, necessario, perfetto, ecc.];
b.] sia perché, in quanto tale, rapportato all’uomo, appare migliore dell’uomo, migliore fino al punto di essere riconosciuto come dio;
c.] sia infine perché questo soggetto è “dio” non solo in rapporto all’uomo [essendo migliore dell’uomo/migliore in senso strutturale], ma anche in rapporto a se stesso, nel senso che è dio a se stesso [dio gode di sé come l’uomo godrebbe di dio, essendo dio immenso a se stesso/non solo in relazione all’uomo].
 
2.] uno dei punti fondamentali dell’analisi epistemica della realtà [fondante la dimostrazione dim_160] è il seguente:
 
a.] fare epochè del creato [metterlo tra parentesi] significa intuire che la realtà non è come gli infiniti cosmi teorizzati dall’astronomia, come nebulose piene di luci affascinanti e di galassie che collidono tra loro.
b.] quando si dice realtà, si deve intendere la realtà normale, ciò che da sempre in eterno è esistito prima della creazione del mondo.
c.] la realtà_normale è la realtà_necessaria: una struttura geometrica essenziale e rigorosa, centrata sul soggetto [dio], proporzionalmente tale per cui il mondo_creato [gli infiniti cosmi] è dimensionalmente [quantitativamente] trascurabile rispetto ad essa. in quanto struttura geometrica rigorosa, si comprende [è questo il vantaggio dell’impostazione dell’episteme] come sia evidente l’esistenza di dio, cioè di un soggetto che conosce in modo appropriato, e che è disposto, rispetto a tale realtà e a se stesso, in modo altrettanto geometricamente rigido, chiuso e rigoroso, “centrato”.
 
3.] tutto ciò porta l’uomo a “disabituarsi” dall’incantamento del mondo, per abituarsi all’incantamento del paradiso. se è vero [com’era necessario] che l’uomo moderno è soggetto al disincantamento del mondo, nel senso del disincantamento rispetto al sacro religioso, è anche vero che l’uomo moderno è incantato dal mondo, dal cosmo, dalle nebulose celestiali, nel senso che l’uomo è ipnotizzato da una percezione falsamente normale della realtà, che lo ha portato a considerare normale [per abitudine e incantamento] il cosmo così come esso è fatto [gli infiniti cosmi sono ad esso simili], normale nel senso di autosufficiente esistenzialmente, cioè necessario come spiegato da se stesso, mentre invece l’episteme dimostra che esso non può essere tale, in quanto non normale rispetto a quella struttura rigorosa, rappresentata negli schemi epistemici.
4.] gli schemi epistemici producono un nuovo incantamento dell’uomo, l’incantamento della verità della realtà_necessaria, cioè vera, della vera realtà, che è la realtà di dio, producendo di riflesso un nuovo senso del sacro, perché la dimensione terrena è il luogo appropriato del sacro.    
5.] allora, tenuto conto della dimostrazione dim_160, si dice quanto segue: l’astronomia si è fatta incantare dalla normalità del cosmo casuale, perché lo ha interpretato come quel cosmo_casuale che l’uomo vedrà in paradiso, il creato trasfigurato nei cieli [l’uomo moderno essendosi collocato già in paradiso, dopo l’apocatastasi simulata della storia]. esistono infatti sia il cosmo_casuale non creato sia il cosmo_casuale creato, attualmente apparente e che sarà portato nei cieli, all’interno di quello non creato.
6.] come uscire da tale incantamento ? attraverso un sistema [evidenziato in successivo prossimo paragrafo, analizzante e riunente in sintesi tutte le ipotesi attuali sulla natura del cosmo apparente] che, rapportando correttamente al di qua e al di là, terra e cielo, consenta di collocare correttamente la terra [gli infiniti cosmi] in relazione al cielo e al paradiso.
7.] si riporta un esempio. la teologia di oggi non dice più che il paradiso e l’inferno sono luoghi spaziali/fisici, essendo l’uomo disorientato dall’immensità del cosmo e degli infiniti cosmi, e non sapendo più collocare in essi le realtà dei novissimi. l’episteme, identificando il creato, cioè gli infiniti cosmi, ad un “punto”, ha ipotizzato che anche la sola “porta”/”soglia” del paradiso e dell’inferno [creati e non creati] sia più grande di tale “punto”.