confronto tra la concezione della tecnica in heidegger, in severino e nella ricerca epistemica
1.] in heidegger, l’uomo deve portare a compimento la civiltà della tecnica per poi poterla superare.
2.] in severino [anche se severino non lo dice chiaramente], il pensiero umano, successivo al pieno compimento della civiltà della tecnica, secondo cui tutto è eterno, finalizzato a togliere l’angoscia per la perdita potenziale della civiltà della tecnica, a causa dell’imprevedibilità del divenire, non comporta rinuncia alla civiltà della tecnica, ma serve solo alla sua protezione. infatti, se la tecnica è dominio per la fede nel divenire, la tecnica è dominio anche indipendentemente da questa fede, per una potenza come pulsione. inoltre, il timore di perdere la tecnica non dovrebbe essere posto solo dopo il culmine della tecnica, ma anche durante la sua costruzione, eppure questa procede. non si comprende perché l’uomo debba accogliere le tesi del neoparmenidismo sull'eternità del tutto solo alla fine di un processo di dominio, di cui non si conoscono né i limiti finali, né il compimento e il fine, dato che severino parla della tecnica come incremento “infinito” [cioè senza confine e senza limite temporale]. la tesi epistemica è che l’eterno in severino non serve ad escludere la potenza, e la tensione ad essa [come al dominio e alla violenza], ma serve a proteggere questa dimensione di ricerca continua della potenza. severino cioè non intende fermare la tecnica [altrimenti ci riuscirebbe subito], ma intende legittimare e proteggerne la dimensione di potenza. alla fine della civiltà della tecnica [se mai esiste un termine ultimativo] l’uomo, accettando la tesi secondo cui tutto è eterno, non si staccherebbe dalla tecnica, ma anzi troverebbe conferma dell’eternità anche della tecnica, come del suo percorso storico di dominio e di potenza. la tesi cristiana dell’eternità del paradiso e dell’inferno, diviene in severino la tesi dell’eternità della tecnica, sia nel bene che nel male.      
3.] nella ricerca epistemica invece la civiltà della tecnica è in parte già realizzata, essendo iniziata con la rivoluzione industriale, la tecnica non è una novità e una “sorpresa”, ma è prevedibile ogni suo sviluppo futuro, nel bene e nel male. essa non costituisce il futuro [necessario] dell’uomo, e uno stadio, o tappa [necessaria] della storia, ma solo una libera scelta, dovuta a una tentazione, di fare il male e la violenza. la tecnica è una sfida a dio, di tipo prometeico, a cui dio chiede di rinunciare. il tramonto della tecnica non avviene dopo il suo "culmine", come in heidegger e, forse, in severino [neoparmenidismo in cui però non si vede un culmine della tecnica, visto il suo incremento infinito], ma avviene, può avvenire, già oggi, su decisione degli uomini, che conoscono 
[anche attraverso gli studi di galimberti] come la tecnica sia disumanizzante, e quindi un percorso da non intraprendere. poiché esiste la tecnofobia, la tecnica [se intesa come pervasiva e forma di dominio] non proviene da dio, non è un “dono” di dio, ed è un male e una tentazione [di potere] da cui dio chiede agli uomini di separarsi, come cristo è separato dalla tecnica. la tecnica come dominio e violenza [quella pervasiva] ne dimostra la natura di “inferno” della tecnica. la tecnica è controllo degli uomini. esso è forma di potere. dio rifiuta e non pianifica questa condizione per gli uomini. la tecnica non è “sorpresa”, ma solo suggestione. la tecnica simula il paradiso, e fa credere all’uomo di essere al di là del bene e del male, come detto nel paragrafo PTF734.html_[]. in quanto causa di tecnofobia, la tecnica si svela essere forma del male. la civiltà della tecnica [tecnocrazia] è una struttura del regno del male.