proposizioni sul giudizio universale come fondamento dell’etica
1.] si considerano questi tre passi biblici:
 
a.] dice gesù: “nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio” [lc 9, 62]. in questo passo del vangelo si sottolinea la parola “adatto”, che richiama l’adattamento alla natura secondo darwin.
b.] dice gesù: “il regno dei cieli è simile [anche] a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. così sarà alla fine del mondo. verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti” [mt 13, 47]. si rileva esemplificatamente che questo processo è evidenziato nel film “Matrix”, dove un demone, come il futuro angelo della parabola, “getta via” una “dannato” [il protagonista], nella scena della vasca sulla torre.
c.] dice la parabola evangelica sul talenti: “venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, … per paura andai a nascondere il talento sotterra: ecco qui il tuo” [mt 25, 25]. in questo passo del vangelo si sottolinea nel presente testo la parola “paura”.
 
2.] dio giudica l’uomo adatto o non adatto ad entrare in paradiso:
 
a.] se l’uomo soffre, si sacrifica e fa il suo dovere quotidiano ogni giorno, se cioè l’uomo “ama”, è giudicato adatto al paradiso e viene salvato;
b.] se l’uomo non si sacrifica e non ama, può essere giustificato in base alle determinazioni di cui ai paragrafi PTF2.html_[] e PTF8.html_[], altrimenti è giudicato non adatto al paradiso e viene condannato e dannato.
 
3.] un ostacolo al compimento del proprio dovere è evidenziato al punto c.] di 1.]: l’uomo può non operare il suo dovere per paura della vita, la “paura di vivere”, che può paralizzare l’uomo fino a renderlo incapace di fruttare i propri talenti. si pone quindi il problema di capire:
 
a.] quando l’uomo è giustificato da dio al non operare;
b.] quando dio può effettuare un “giudizio perfetto” su un uomo che, sia che abbia fatto il suo dovere, sia che non lo abbia fatto, non sia comunque giustificabile, cioè sia privo di alibi. su questo punto la ricerca epistemica ha tentato di individuare [non senza una certa inconsistenza teorica] uno dei fondamenti della teoria epistemica [= essenzialistica] del diritto, consistente nel definire uno stato [stato in senso istituzionale] che ponga l’uomo nella condizione più perfetta di operare per essere giudicato da dio in modo perfetto, cioè senza alibi [uno stato quindi che deve proteggere l’uomo e farlo vivere nel benessere, perché l’uomo possa compiere in perfetta libertà un sacrificio di sé “perfetto”, nello studio e nel lavoro, essendo il senso del vivere legato all’essere giudicati per essere salvati e quindi graduati in gradi di perfezione paradisiaca, a cui è associato un dato livello di beatitudine celeste].
 
4.] è posto il problema se il dio che giudica l’uomo è pagano o cristiano. la differenza sarebbe inconsistente, perché dio sarebbe, anche se pagano, comunque misericordioso, in quanto dal perdono dell’uomo dio trae un vantaggio [è meglio salvare che dannare][epistemicamente, come detto nella dimostrazione epistemica sette, dio partecipa della beatitudine delle anime beate]. se pagano, cristo-giudice sarebbe quindi calcolatore freddo e razionale.
5.] [seguono proposizioni in parte a carattere retorico …] si può criticare questa concezione sul fondamento dell’etica, dicendo che essa appare improponibile per l’uomo moderno, stretto nella morsa del dubbio di fede. d’altra parte, si osserva che l’uomo ha paura del mondo, del futuro, della storia e degli uomini [sono tipici dell’uomo moderno la paura, la fobia, lo stato d'ansia, il panico], proprio perché è privo di fede. la fede libera dalla paura, mentre la paura del vivere può costituire anche un alibi paralizzante per non operare il bene. ma la vera paura [tipica dell’uomo moderno in quanto “moderno”] è la paura di dio. molte parabole morali del vangelo terminano con queste parole: “là fuori sarà pianto e stridore di denti”. dio infonde nell’uomo la paura dell’inferno perché sa che solo essa può vincere la paura del vivere. il rifiuto della fede, fede che rimane sempre una possibilità per l’uomo moderno, è anche il rifiuto dell’inferno [cioè di dio, ipotesi che comporta la possibilità dell’inferno], ma questo rifiuto precipita l’uomo nella paura dei “tanti inferni” della vita [rappresentati nell’elenco del punto 1.] del paragrafo PTF2.html_[]], a cui la fede sarebbe rimedio, perché dio toglie la paura per il vivere. poiché a dio interessa che l’uomo “viva” [cioè frutti i talenti], lo minaccia. all’interno di queste ipotesi si comprendono le parole di gesù: “… la bestemmia contro lo Spirito, non [gli] sarà perdonata” [mt 12, 32]: l’uomo può rifiutare la fede, ma, gettato nella vita e in preda alla paura, che può angosciarlo come un vero “inferno terreno”, egli può cercare la verità, che lo condurrebbe comunque alla fede e a dio. si pone quindi il problema di capire e di distinguere, se la paura per la vita costituisca una vera giustificazione per il rifiuto anche di pensare e di cercare la verità, o non sia anche un alibi per rifiutare la verità, la fede e dio, e quindi le proprie responsabilità morali: una fuga da esse, per rinchiudersi in un egoismo 
appagante senza verità e senza amore.